Il Bambino dai 3 ai 6 anni
La fascia di età 3-6 anni rappresenta un importante momento di sviluppo per la definizione del proprio carattere, per la creazione di relazioni con il mondo sociale e per il riconoscimento di ruoli e capacità relazionali.
In questi anni l’elemento più significativo è l’attività ludica. In effetti, attraverso il gioco il bambino fa esperienza di diverse capacità andando così a simbolizzare aspetti importanti della propria personalità.
A partire dai 3 anni, dunque, il bambino si apre al mondo relazionale, sceglie gli altri e inizia a condividere. L’ingresso nella scuola materna rappresenta un importante momento per la crescita del bambino, su diversi fronti. La scuola materna, infatti, è il primo "territorio" in cui il bambino si sperimenta da solo, lontano dall’ambiente familiare.
Verso i 4/5 anni, si sviluppa in modo specifico il concetto di sé e dell’identità.
Il concetto di sé comprende un Io esistenziale - ovvero, sono un’entità separata dagli altri - che inizia a svilupparsi dal momento della nascita, un Io categorico - il fatto che possieda peculiarità di sesso, nazionalità e opinioni - e la stima di sé - ovvero giudicare positivamente o negativamente le personali caratteristiche.
Ascoltando e immagazzinando i rinforzi dell’ambiente sulla sua identità, sulle sue capacità e sulle sue risorse, giunge a delle prime riflessioni su di sé.
In particolare, in questa fascia di età si definiscono ulteriormente la capacità di leggere, nominare e tollerare le emozioni.
Come sappiamo, le emozioni sono esperienze psicologiche complesse che comprendono una componente cognitiva per la valutazione della situazione, una componente fisiologica di attivazione, una componente espressiva – la modalità comportamentale con cui si mette in campo un’azione –, una motivazionale che si esprime nell’intenzionalità e, infine, una componente soggettiva relativa al vissuto emotivo soggiacente.
Per i bambini, il riconoscimento delle emozioni avviene prevalentemente attraverso canali non verbali. E proprio in questa fase di vita, il bambino apprende a riconoscere i sentimenti che si attivano al proprio interno, inizia a usare il linguaggio per comunicare i propri e anche gli altrui stati affettivi.
Pertanto, si potrebbe affermare che il ruolo del genitori è di facilitare tale integrazione tra il pano del pensare e quello del sentire.
La nostra mente per sua natura è costantemente in cerca di altre persone con cui entrare in risonanza e condividere esperienze.
Le attività creative
Il gioco è un’attività̀ importante ai fini della socializzazione e dell’integrazione dei bambini nel contesto scolastico-educativo. Nel gioco di squadra il bambino impara a socializzare, a tollerare e gestire le sconfitte e le frustrazioni, il confronto con gli altri, il rispetto delle regole e la cooperazione.
Ѐ proprio attraverso il gioco che il bambino impara a saper stare nel gruppo, a fare propri determinati codici comportamentali e a sperimentare nuovi ruoli sociali. Ѐ in questa fase che il bambino inizia a prendere in considerazione le reazioni e le risposte dell’altro.
Secondo alcuni autori, la socializzazione attraverso il gioco si basa su tre concetti fondamentali:
Accettazione: ovvero accogliere l’altro senza preconcetti e al contempo sentirsi appartenente al gruppo di riferimento.
Dialogo e la comunicazione: esse prevedono la partecipazione diretta, lo scambio di emozioni, la genesi di un rapporto di fiducia e d’amicizia reciproca e lo sviluppo di capacità relazionali.
Empatia: capacità di ascolto, di lettura delle emozioni dell’altro e partecipazione all’interazione.
La teoria della mente
È la capacità di attribuire stati interni in termini conoscenze, desideri e credenze l comportamento degli altri. In questo mondo, il bambino può prevedere i comportamenti dell’ambiento che lo circonda.
La possibilità di comprendere la mente di un’altra persona è abilità più che necessaria.
Possiamo assegnare una funzione sociale a tale abilità, poiché la teoria della mente ci aiuta a comprendere i comportamenti altrui, dando un senso alle azioni che osserviamo anche se gli altri non le spiegano direttamente.
Sul fronte della comunicazione, la teoria delle mente ci rende degli interlocutori capaci di cogliere le intenzioni che stanno alla base dei comportamenti degli altri.
Per il bambino senza dubbio è una tra le funzioni più importanti in quanto consente di creare delle aspettative valide circa l’ambiente, oltre il fatto di adattare il personale comportamento al mondo.
Una delle più famose prove per valutare la teoria della mente è il Test della Falsa Credenza (Pemmer & Wilmer, 1983), utilizzato con i bambini tra i 4 e i 9 anni. Al bambino si mostra una scenetta in cui una bambola di nome Sally mette una biglia in un cestino all’interno di una stanza. La bambola esce dalla stanza e un altro personaggio (Anne) entra e sposta la biglia dentro un cassetto. Verrà chiesto quindi al bambino se sa dove Sally andrà a cercare la biglia una volta rientrata. Generalmente i bambini intorno ai quattro anni rispondono correttamente: “Nel cestino ”.
Secondo diversi autori, il fatto di possedere una buona capacità di leggere le situazioni quotidiane in termini di stati affettivi - capacità che in psicologia è definita mentalizzazione - aumenta la probabilità che il bambino possa sviluppare un attaccamento sicuro e un’adeguata capacità di regolare le proprie emozioni.
In effetti, una relazione di attaccamento sicuro permette di esplorare e di rappresentare adeguatamente la mente del caregiver e, quindi, di conseguenza consente di capire e interpretare adeguatamente gli stati della mente altrui.
Qualora il bambino non sviluppi un attaccamento di tipo sicuro si potrebbe verificare un deficit in termini di Teoria della Mente che si manifesterebbe attraverso diverse forme di sofferenza psichica.
La letteratura moderna ha ipotizzato sulla base di evidenze scientifiche accreditate che un deficit specifico nella comprensione delle credenze che regolano il comportamento dell’altro sia un elemento presente sovente dei bambini affetti da disturbi dello spettro autisticoe nei casi di disturbi psicotici (Baron-Cohen, 1995).
Anche le persone che manifestano fragilità caratteriali potrebbero possedere dei deficit di mentalizzazione e per questo carenti nell’attuazioni di comportamenti adeguati allo scopo.Inoltre, la capacità di riflettere sui personali e altrui sentimenti risulta compromessa in una percentuale significativa di soggetti che hanno vissuto un’esperienza traumatica, soprattutto nell’infanzia (Fonagy e collaboratori, 2006).