“La condizione di chi, sentendosi menomato o impedito rispetto ai propri bisogni e desideri, alle proprie aspirazioni, alla propria progettualità di vita, si assume la responsabilità di riconoscersi malato e quella di affrontare la cura”
Sergio Erba (1994), Un pensiero fondante le relazioni d’aiuto, Il Ruolo Terapeutico, n. 97.
Per quanto le mie esperienze professionali mi abbiano dato strumenti efficaci, sono dell’opinione che l’intervento di natura psicologica, nelle sue diverse declinazioni, tragga le proprie origini all’interno di valori umanamente condivisi. Del resto, potrebbe essere ragionevole pensare alla psicologia come una “scienza umana”, alla cui base identifichiamo l’incontro tra diverse soggettività.
Per tali ragioni, nella mia pratica ritengo essenziali alcune qualità. Tra queste sento di citare la creatività, la credenza nelle innate potenzialità dell’uomo e l’emancipazione individuale.
Il processo creativo consiste nella facoltà umana di costituire nuove connessioni con il mondo, utilizzando simboli e immagini che mirano a incanalare l’energia della mente affinché si possano esprimere al meglio le proprie capacità nella vita. Pertanto, l’arte, il disegno, i sogni, così come la musica, le fantasie e il gioco, corrispondono a un valido strumento per aver accesso al proprio mondo interno e per perseguire i propri desideri, consentendo di liberarsi da quei vincoli – sovente eretti con il nostro contributo – che limitano le esperienze umane. In questa direzione, la curiosità diventa un’attitudine verso il mondo che ci spinge a incontrare, in assenza di giudizio, l’alterità, le diversità che potrebbero arricchire la nostra anima e la nostra conoscenza soggettiva.
Talvolta capita che, nei momenti di maggior sconforto, non possediamo la lucidità sufficiente a essere promotori della nostra salute. Talaltra, le esperienze soggettive, insieme agli eventi della nostra vita, hanno avuto forti ripercussioni nei confronti delle nostre modalità con cui ci relazioniamo, tanto da non riuscire a emergere dalle difficoltà con cui ci imbattiamo. Potrebbe accadere che, in siffatte condizioni, la nostra vita appaia come un lento peregrinare anziché un viaggio teso alla realizzazione più autentica di sé. Secondo la mia esperienza formativa, l’individuo, nel contempo, possiede le potenzialità per far fronte alla sofferenza, ai momenti di sconforto e alle fragilità interpersonali che avverte. Andare a risvegliare le risorse inespresse potrebbe mettere in moto la propria energia psichica in maniera tale da essere protagonisti della propria vita, vivere il presente senza indugi e progettare un futuro possibile.
L’emancipazione è una delle finalità più nobili a cui l’individuo può tendere. Essa disegna un processo in continuo divenire attraverso il quale l’uomo può esprimere in piena libertà se stesso e la sua personale maniera di “stare con” l’altro. Nel mio lavoro sento che l’individuarsi come soggetto sia un obiettivo a lungo termine perseguibile a tutti livelli. Il soggettivarsi contempla un percorso di crescita personale che potrebbe dar vita a un diffondersi di significato, il che trasformerà gli elementi grezzi – in nostro possesso – in qualcosa dotato di senso e maggiormente tollerabile, nonché integrabile con la nostra persona. In questa cornice assume rilevanza l’accettazione di sé, non come fonte di rassegnazione, passività o inermità, ma come maggiore conoscenza dei propri limiti e potenzialità di essere umano da spendere al meglio ogni giorno.
Prescindendo dalle diverse sfaccettature attraverso cui la sofferenza umana può manifestarsi, l’intervento di natura psicologica potrebbe rappresentare un modo, un tentativo coraggioso, di riprendere il controllo di se stessi, favorendo il benessere individuale e interpersonale. Come se fossimo in procinto di essere disarcionati e ci prendessimo il tempo necessario per aumentare la consapevolezza sui fattori che ci hanno condotto a tale situazione. Assumendosi la responsabilità della propria cura, riconosciamo e andiamo a metter mano all’interno di quelle configurazioni che impediscono la piena realizzazione dei nostri desideri. Apriamo un pertugio verso uno sviluppo possibile che abbia la salute come intento primario.
Potrebbe essere umanamente condivisibile che nella nostra vita la ricerca della felicità non sia un’assenza di dolori o di fortune, ma piuttosto un’intensificazione della vita, un’armoniosa partecipazione che consente di essere con dedizione se stessi insieme agli altri e alla vita. In questo viaggio, seppur con ruoli asimmetrici, psicologo e paziente intraprendono un percorso dialogico volto alla costruzione di nuovi significati e all’incontro più autentico.